Laurea e lavoro: Europa VS Italia

Europa Grand Tour

Laurea e lavoro: Europa VS Italia

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Oggi voglio essere polemica.

Ho riflettuto molto prima di scegliere l’argomento della puntata di questa settimana.

Il coronavirus e la chiusura delle varie attività commerciali (scrivo nel maggio del 2020) poteranno tra le altre cose una grave crisi economica, secondo alcuni economisti tra le più gravi degli ultimi decenni.
Quindi sono sicura che presto si sentirà parlare di disoccupazione e lavoro, e quindi spunteranno i soliti articoli e inizieranno le tavole rotonde.. e gli esperti dell’ultim’ora vorranno spiegarci dove andrà il mondo del lavoro e cosa dovremmo fare per farlo andare meglio.

E, presto o tardi, qualcuno tirerà fuori l’argomento principe delle crisi economiche in Italia.
Quale?
Il debito pubblico? No..
La corruzione? Ma no..
Il nepotismo e la raccomandazione selvaggia? Assolutamente no..
L’immobilismo e la mancata innovazione? Neanche..
Ci parleranno del terribile dilemma, l’angosciante problema, la mostruosa dicotomia del nostro paese: laurea e lavoro!

Ogni volta che una crisi economica si affaccia all’orizzonte, quando esce una nuova analisi dell’Unione Europea o, semplicemente, quando è estate e non succede nulla di rilevante da raccontare perché anche i criminali sono in ferie (si sa, come canta J-Ax, l’Italia a giugno chiude e rimanda tutto a settembre!).. insomma, quando non si sa di cosa parlare, i vecchi media, in attesa di un succulento e possibilmente truculento omicidio insoluto, tirano fuori il sempreverde italiano del giornalismo: “la laurea serve a trovare lavoro o è solo tempo perso”?

 

I laureati in Italia sono troppi?

Problema: si continua a dire, lo dice l’uomo della strada al bar, lo scrivono i giornali, che i laureati siano troppi in Italia.. non a caso 4 su 10 non trovano lavoro ci dice il Sole24Ore, l’ultima volta in un articolo di circa un anno fa, nel 2019. E questo è vero: è un dato Eurostat, che è l’ufficio statistico dell’Unione Europea, ossia l’ente che raccoglie ed elabora dati provenienti dagli stati membri dell’Unione Europea a fini statistici.

Secondo l’Eurostat, infatti, 4 italiani su 10 non hanno un lavoro a 36 mesi (3 anni) dalla laurea.
A livello statistico quindi il 62% degli italiani ha un lavoro a 3 anni dalla laurea, mentre la media europea è del 85,5%.. naturalmente si tratta di una media tra i paesi dell’Unione: per dire Germania e Olanda che raggiungono il 94%!

Quindi.. che succede?
Perché l’università italiana, così come la nostra scuola superiore, è di buon livello: lo dimostra il fatto che i nostri laureati trovano facilmente lavoro all’estero e molti di loro insegnano o fanno ricerca nelle università straniere.

E allora?

Cosa dice l’uomo della strada di tutto ciò? Cosa dice la voce del popolo e i polpastrelli dei leoni di tastiera di internet.. e purtroppo, a volte, anche qualche giornalista?
Secondo queste persone, secondo l’italiano medio il problema è che in Italia ci siano troppi laureati: la dimostrazione sarebbe che i nostri laureati trovano facilmente lavoro all’estero.. quindi noi ne produciamo troppi, mentre all’estero molti meno. Semplice regola di domanda/offerta del mercato.

Davvero?

Anni fa l’Europa si era posta di aumentare il numero di laureati, ponendosi come obbiettivo di raggiungere la percentuale del 40% di persone laureate nella fascia d’età 30/34 anni entro il 2020. L’obbiettivo è stato raggiunto in anticipo nel 2019.
Quindi oggi il 40% dei cittadini europei nella fascia d’età 30/34 anni sono laureati.

Ovviamente è una media, c’è differenza da nazione a nazione: in nord Europa 1 su 2 tra le persone in quella fascia d’età sono laureate (ma lì lo stato ti paga per studiare e l’università è molto più facile).

E l’Italia? A sentire la voce dei vari leoni da tastiera dovremmo essere nella stessa situazione della Svezia!
L’Italia è invece al fondo della classifica: al 27,5 %!.. Peggio di noi Spagna, Malta e Romania.

Quindi, no: i laureati non sono troppi, anzi, sono drammaticamente troppo pochi.. se poi consideriamo che molti lasciano il paese per lavorare all’estero.. beh..

 

NEETs e abbandono scolastico

A fianco di questo dato c’è sempre il problema dell’abbandono scolastico che nel nostro paese sta aumentando: negli ultimi due anni ha raggiunto la preoccupante percentuale del 14,5%.

Un altro grave problema sono i famosi NEETs ossia le persone tra i 18 e i 24 anni che non studiano né lavorano.

I NEETs sono un problema molto serio anche perché costituiscono il 15-20% degli italiani tra i 18 e i 24 anni nel centro-nord e il 30% e oltre al sud. In alcune regioni del Meridione italiano i NEETs raggiungono il 40%, una delle percentuali più alte d’Europa, maggiore di quella di alcune regioni della Macedonia, dalla Bulgaria e della Turchia..

Tra l’altro io sarei curiosa di sapere come sia possibile! O tutte queste persone lavorano in nero, oppure hanno una famiglia molto diversa da quella che ho avuto io: i miei mai mi avrebbero lasciato a poltrire sul divano! A casa mia è sempre stato: o lavori o studi o fai entrambi.. non ci sono altre opzioni.

Comunque..

 

Laurea e disoccupazione: le cause

Quindi i laureati in Italia non sono troppi, anzi.. quindi?
Perché c’è difficoltà a trovare lavoro dopo la laurea?
È colpa solo del fatto che da noi il nepotismo e la raccomandazione selvaggia siano la norma? Forse, ma non solo.

Vediamo un attimo insieme quali potrebbero essere le cause:

  1. Distanza corsi studio/lavoro aziende: effettivamente alcuni corsi di laurea, pur dando un’ottima preparazione sono davvero distanti dal mondo del lavoro.. niente che una persona normale non possa recuperare ma sarebbe meglio modernizzare l’impostazione.
  2. Le aziende non vogliono investire nel lavoro. Si dice sempre che la preparazione universitaria sia troppo teorica.. ma un tempo la preparazione era ancora più teorica: è normale che, all’inizio, si debba formare un minimo un lavoratore ma oggi, anche a causa certamente delle molte tasse ma non solo, conviene cambiare spesso personale.
  3. Le aziende italiane sono medio piccole: non ci sono molte grandi aziende con la capacità di investire, ad esempio in ricerca e sviluppo o comunque in settori che richiedano personale di alto profilo.
  4.  In Italia non ci sono molti posti di lavoro di livello medio alto: si cercano perlopiù figure di basso livello, esecutori di mansioni facili.. purtroppo il mondo del lavoro italiano sta perdendo di qualità. E questo è un fatto grave perché la qualità è più importante della quantità: questo sistema porterà sempre di più ad un impoverimento culturale e economico a livello nazionale.
  5. Poi certo i laureati italiani sono, a volte anche se non sempre, meno dinamici che altrove.. c’è sicuramente meno propensione a spostarsi e a lasciare la casa dei propri genitori (e i genitori sono, da parte loro, poco propensi a lasciare andare i figli!), o a mettersi in gioco.. non sempre è così, ma è innegabile che l’immobilismo italiano sia presente anche nelle nuove generazioni!
  6. Lo Stato non aiuta certo lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali (chiacchiere a parte): di fatto è molto più facile ed economico aprire una piccola impresa nel Regno Unito che in Italia. La burocrazia e i costi imposti da Mamma Italia alle piccole imprese sono alti.

 

Lo studio inutile

Infine si dà anche la colpa alle così dette lauree inutili.

Ora.. non voglio iniziare una polemica infinita alimentando la solita diatriba tra università umanistiche e scientifiche: il discorso è complicato ma, certamente, la soluzione che propongono tanti leoni da tastiera di iscriverci tutti ad ingegneria non è logica né fattibile.

Inoltre nel mondo di oggi, con internet, in cui la parola scritta è un business come lo era a fine ‘800 (ci troviamo infatti in una situazione per molti versi simile..), in un mondo del genere non è neanche del tutto vero! Io stessa ho una laurea umanistica e una scientifica e mi guadagno da vivere anche grazie ai miei studi umanistici (anche se non del tutto!).

Quindi?

Purtroppo spesso la risposta al problema laurea/lavoro a livello nazionale è, come detto, che ci siano troppi laureati e quindi si debba “studiare meno”.

Oltre al fatto che non è assolutamente vero, aumentare la propria conoscenza contribuisce a trovare e mantenere un lavoro, l’ho sperimentato sulla mia pelle, ma poi in realtà lo studio dovrebbe essere importante fine a se stesso!

E trovo preoccupante che i media di un paese lascino passare il messaggio che studiare non serva ad altro che a trovarsi un lavoro!!

 

Il lavoro delle donne

A fianco di tutto questo viene evidenziato sempre più il problema dell’occupazione femminile.

Il nostro Paese è infatti l‘ultimo in Europa per l’occupazione femminile: il tasso di occupazione femminile, per le donne tra i 15 e i 64 anni, è del 49,5%, ossia lavora un po’ meno di una donna su due.
Per fare un paragone in cima alla classifica dei paesi europei per occupazione femminile c’è la Svezia con un tasso del 81,2%.

Secondo una ricerca di Manageritalia basata su dati Istat e Isfol, il 27% delle donne italiane lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Quindi se prima della gravidanza lavorano 59 donne su 100, dopo il parto ne continuano a lavorare solo 43 con un tasso di abbandono pari appunto al 27,1%.

Comunque quello dell’occupazione femminile in Italia è un discorso molto complesso che, magari, affronteremo in una puntata ad esso dedicata.

 

Tra percezione e responsabilità

Laureati e lavoro in Italia.. un discorso spinoso..
Secondo me è anche una questione di percezione oltre che, come dicevo, un problema culturale. Perché c’è sicuramente un problema culturale dietro questi dati.

E anche se la cultura del lavoro italiano non siamo stati, magari, direttamente noi a crearla, noi spesso la alimentiamo, a volte anche inconsapevolmente.
Quindi ricordiamoci di assumerci le nostre responsabilità: non è sempre colpa degli altri, delle aziende malvagie, dello Stato cattivo o della situazione.
Vi faccio un esempio, forse sarebbe meglio che questa parte la ascoltaste nel podcast ma cercherò di riassumerla qui.

Quando mi sono trasferita in Norvegia per un anno per lavoro conoscenti e amici sono rimasti molto sorpresi: non capivano come potessi mollare tutto e trasferirmi così. Da parte mia io sono stata molto stupita della loro reazione: alla fine si trattava solo di un anno!
La stessa reazione si è manifestata quando mi sono trasferita, per un periodo peraltro più breve, in altri paesi esteri: ad esempio quando sono andata a vivere a Parigi per alcuni mesi.

Devo dire che all’inizio non capivo la reazione di queste persone, ma con il tempo mi sono resa conto che la mentalità italiana è molto radicata nell’idea della propria casa, delle proprie abitudini, del proprio tran-tran.. e, più in generale, di un certo percorso di vita che si è immaginato e che ci si aspetta di percorrere.
In generale uscire dal seminato sconvolge molti: attenzione non è un giudizio, non sto dicendo che venga dato un giudizio negativo (almeno non necessariamente!), ma che molte persone semplicemente non capiscono o ne sono spaventate.

 

E quindi?

E, in definitiva, sì.
In Italia oggi non basta una laurea per trovare lavoro e per tenerselo quel lavoro (a dire il vero neanche nel resto d’Europa basta.. ma il discorso è complesso..).

Bisogna trovare nuove strade, nuove applicazioni di quello che si è studiato, essere disposti a continuare a studiare, avere l’umiltà di ricominciare da zero quando si impara una cosa nuova e lavorare tanto, senza nascondersi dietro a consuetudini che ci permetterebbero di battere la fiacca.

Voi direte: “La fai facile tu, ma vivere così è difficile! Cambiare, essere diversi, vivere in modo diverso da come si aspetta la società, coloro che ci circondano, da come noi stessi abbiamo immaginato di essere..”.
Certo, questo è verissimo.

Ad esempio io sono una telelavoratrice. Se è vero che oggi, con il coronavirus, siamo e saremo molti in Italia a lavorare così, per molto tempo sono stata tra i pochissimi: qualche anno fa le persone non capivano cosa volessi dire quando dicevo che lavoravo da casa!

Inoltre come donna, oggi come ieri, raccolgo sguardi perplessi quando dico che viaggio molto da sola o che ho costruito il mio lavoro, il mio business digitale, partendo da zero e lo porto avanti da sola.

Cosa posso dire per incoraggiarvi?

La difficoltà di trovare lavoro, la fatica di tanti che come me hanno dovuto lottare per avere un lavoro e lottano ogni giorno per mantenerlo.. il doversi reinventare ecc.. Tutto questo potrebbe portare ad un profondo cambiamento culturale in Italia, una forza innovatrice che da tempo aspettiamo, paragonabile a quella che ha trainato la nostra nazione negli anni ’50 del ‘900..

Ok, so cosa pensate ora.. “Ma io non sono un supereroe: non voglio cambiare il mondo! Voglio solo avere un lavoro e pagare l’affitto.”.
Capisco.
Ma, purtroppo o per fortuna, siamo in un contesto storico per cui o cambiamo mentalità o affondiamo (o almeno è così per molti di noi!).

Sapete da dove viene l’espressione “Se non ora quando?” che tutti abbiamo letto nei cartelli del movimento del MeToo? Viene dal Talmud, uno dei testi sacri classici dell’ebraismo.
La citazione completa, riassunta e parafrasata è: “Se non io chi? Se non ora quando?”.

..O come avrebbe detto mio nonno, che aveva la terza elementare e certo non sospettava neanche l’esistenza di un testo chiamato Talmud, “Qualcosa della tua vita non è come vorresti? Comincia a darti da fare per risolvere il problema perché, di certo, non si risolverà da solo mentre tu perdi tempo a lamentarti!”. Eh sì, certo mio nonno non avrebbe amato i social!

 

Ascolta “Ep38 – Laurea e lavoro: Italia VS Europa” su Spreaker.

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